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La radicalizzazione islamica in Italia: analisi, sfide e prospettive (del Dott.Carlo Di Sansebastiano)

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  • 18 set
  • Tempo di lettura: 3 min

La radicalizzazione islamica in Italia: analisi, sfide e prospettive


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La radicalizzazione islamica rappresenta, da almeno due decenni, una delle principali sfide alla sicurezza nazionale in molti paesi europei, inclusa l’Italia. Il fenomeno, che si riferisce al processo attraverso cui individui o gruppi abbracciano ideologie estremiste di matrice islamista fino, in alcuni casi, ad aderire a movimenti jihadisti violenti, ha assunto caratteristiche specifiche nel contesto italiano, spesso differenti da quelle riscontrate in paesi come Francia, Belgio o Regno Unito.

A differenza di altri paesi europei con un passato coloniale in Nord Africa, l’Italia ha vissuto un’immigrazione islamica relativamente più recente e meno strutturata. Tuttavia, già dagli anni ’90, sono emersi segnali di preoccupazione legati alla presenza di cellule fondamentaliste, in particolare affiliate al Gruppo Islamico Armato (GIA) algerino o alla rete di Al-Qaeda.

Dopo l’11 settembre 2001, l’attenzione delle autorità italiane si è intensificata, portando alla sorveglianza e allo smantellamento di alcune cellule che utilizzavano il territorio italiano come base logistica o di supporto. Negli anni successivi, l’emergere dello Stato Islamico (ISIS) ha portato una nuova ondata di radicalizzazione, spesso più decentralizzata e legata a processi individuali (il cosiddetto fenomeno dei "lupi solitari").

I dati ufficiali sono in continua evoluzione, ma secondo rapporti del Ministero dell’Interno e delle agenzie di intelligence italiane dal 2015 ad oggi, oltre 150 persone sono state espulse per motivi di sicurezza legati a radicalizzazione jihadista.

Sono stati monitorati centinaia di soggetti radicalizzati o a rischio di radicalizzazione, spesso attraverso indagini su social media, ambienti carcerari e moschee.

Circa 30-40 foreign fighters italiani o residenti in Italia hanno lasciato l'Italia per combattere in Siria o in Iraq.

Va tuttavia sottolineato che l’Italia ha subito pochi attentati terroristici di matrice jihadista sul proprio territorio, grazie a un'efficace attività di prevenzione e controllo.

I soggetti radicalizzati in Italia presentano profili eterogenei, ma si possono individuare alcuni tratti comuni:

- giovani di seconda generazione (nati o cresciuti in Italia da genitori immigrati), spesso in crisi identitaria;

- convertiti all’Islam attratti da una visione radicale come forma di ribellione o appartenenza;

- detenuti: il carcere è uno dei principali contesti di radicalizzazione, dove alcuni individui vulnerabili vengono esposti a predicatori radicali;

- persone marginalizzate o isolate, con un passato di devianza o disagio sociale.

Il processo di radicalizzazione avviene raramente in modo diretto in luoghi di culto ufficiali, ma spesso tramite reti informali, contatti personali o, sempre più, attraverso Internet e social media, con l’accesso a contenuti jihadisti su piattaforme criptate.

L’Italia ha adottato un approccio preventivo di tipo amministrativo, incentrato sull’espulsione degli individui ritenuti pericolosi, anche in assenza di condanne penali. Le principali misure adottate includono espulsioni per motivi di sicurezza dello Stato (ai sensi dell’art. 13 del D.Lgs. 286/1998), controlli e sorveglianza delle moschee non riconosciute e degli imam non registrati, monitoraggio digitale: cyber intelligence su forum, social network e piattaforme criptate.

Nonostante l’efficacia delle misure securitarie, il sistema italiano presenta lacune nei programmi di prevenzione e deradicalizzazione, rispetto ad altri paesi europei. Tuttavia, sono emerse alcune iniziative quali progetti scolastici e interculturali per la prevenzione dell’estremismo, formazione per operatori sociali e scolastici sul riconoscimento dei segnali di radicalizzazione, collaborazioni tra istituzioni e comunità islamiche moderate, anche se ostacolate dalla frammentazione delle rappresentanze musulmane in Italia.

Un progetto significativo è il programma "Rive" (Rete Italiana per la Prevenzione della Radicalizzazione Violenta), promosso da Università, ONG e istituzioni locali, che mira a creare una rete di buone pratiche e modelli di intervento a livello territoriale.

Le comunità musulmane italiane svolgono un ruolo cruciale, sia come barriera culturale e religiosa contro l’estremismo, sia come soggetti vulnerabili alla stigmatizzazione. Molte moschee e centri islamici si sono impegnati attivamente nella promozione di un Islam compatibile con i valori democratici e costituzionali.

Tuttavia, la mancanza di un riconoscimento giuridico dell’Islam come religione ufficiale (a differenza della Chiesa cattolica o delle confessioni protestanti ed ebraiche) ha ostacolato il dialogo istituzionale e la formazione di imam riconosciuti.

Alla luce dei recenti mutamenti geopolitici (ritiro dall’Afghanistan, crisi nel Sahel, conflitti in Medio Oriente), la radicalizzazione islamica potrebbe assumere nuove forme, meno visibili ma potenzialmente più insidiose, legate alla frustrazione sociale, al disagio giovanile e alla disinformazione online.Le raccomandazioni principali per affrontare il fenomeno sono: investire in programmi di prevenzione nelle scuole, nei quartieri e nelle carceri, creare canali stabili di dialogo con le comunità islamiche superando approcci emergenziali o stigmatizzanti, equilibrare sicurezza e diritti evitando di criminalizzare l’intera religione musulmana, distinguendo chiaramente tra Islam e islamismo estremo.


fonte:

Criminologo-Security Manager

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