Forze di Sicurezza e Corpi dello Stato nel mirino, la lotta contro Euskadi Ta Askatasuna-ETA. (di Angelini Rita)
- squadsmpd

- 28 set
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Per oltre cinquant’anni l’organizzazione armata Euskadi Ta Askatasuna (ETA) ha incarnato una delle prove più dure e laceranti per lo Stato spagnolo e per l’intero tessuto della sua società civile.
La violenza politica legata all’indipendentismo basco non ha prodotto soltanto lutti e devastazioni, ha generato fratture insanabili nel Paese.
In particolare, le forze dell’ordine spagnole, Guardia Civil e Policia Nacional, hanno pagato un prezzo altissimo, diventando il bersaglio prescelto di una campagna di terrore sistematica, fondata sulla violenza letale, la negazione dell’umanità dell’avversario, l’annientamento morale.
1. Radici ideologiche: dal nazionalismo etnico al progetto rivoluzionario.
Il pensiero che ispirò l’ideologia del gruppo venne associato a un'espressione in lingua basca: ezker abertzalea, ovvero “sinistra patriottica”. Il termine, nato dall’unione delle parole aberri (patria) e -zale (che ama), divenne l’etichetta di un movimento che fondeva indipendentismo, identità culturale e socialismo rivoluzionario.
Nel 1958 dagli ambienti studenteschi baschi si affermò una deriva intransigente, il fenomeno prese corpo in Euskadi Ta Askatasuna (“Paese Basco e Libertà”), meglio conosciuta come ETA, collocandosi fin da subito come alternativa estrema contrapposta al nazionalismo moderato, scegliendo la via della violenza politica organizzata.
Il pensiero di Sabino Arana, fondatore del Partito Nazionalista Basco (PNV) nel 1895, trasmise un impianto identitario rigido, fondato sull’idea di purezza etnica e sulla salvaguardia assoluta di lingua, religione e costumi del popolo basco.
Con Federico Krutwig (Vasconia) l’asse si spostò ponendo al centro del progetto non più la superiorità etnica, ma la lingua basca come simbolo di resistenza culturale, e l’uso della violenza come strumento necessario per raggiungere l’indipendenza.
La repressione franchista contribuì ad alimentare la narrativa di opposizione antiautoritaria e a creare un’aura di legittimazione in settori internazionali di sinistra.
Nonostante la Costituzione del 1978 e lo Statuto d’Autonomia, ETA bollò le riforme come insufficienti e incrementò le proprie attività nell’ambito della lotta armata.
Obiettivi statali come le forze dell’ordine, i magistrati, i politici affiancati a obiettivi “funzionali” incarnati da imprenditori, giornalisti e civili, vennero progressivamente inclusi in una strategia di pressione: omicidi, attentati, sequestri e campagne di intimidazione erano finalizzati a generare terrore, a spersonalizzare l’avversario e a delegittimare l’autorità statale.
2.Disumanizzazione come strumento operativo.
Come in molte esperienze terroristiche del Novecento, la de-umanizzazione è stata funzionale all’abbattimento dei freni morali interni e alla mobilitazione dei simpatizzanti. Nel caso ETA, la designazione in euskera “txakurrak”, che significa “cani”, utilizzata per identificare la Guardia Civil mostra la trasformazione in una caricatura animale dell’obiettivo, un passo simbolico che rendeva accettabile, persino “giustificabile”, la sua eliminazione.
La propaganda del gruppo utilizzò questa rappresentazione non solo riferendosi a loro come strumenti repressivi dello Stato spagnolo, ma anche come simboli dell’occupazione e della negazione dell’identità basca.
Per ETA, l’effetto ricercato fu duplice: minare la stabilità dello Stato per ottenerne la delegittimazione e corrodere la fiducia sociale nelle istituzioni di protezione.
3. Impatto psicosociale sugli operatori: la “Sindrome del Norte”.
Tra la metà degli anni ’80 e i primi anni 2000 emerse nella produzione clinica e sociologica il concetto di “Sindrome del Norte”, inteso come l’insieme di disturbi psicologici osservati tra gli agenti di polizia e della Guardia Civil destinati nei Paesi Baschi e in Navarra negli anni più bui della violenza.
Il profilo sintomatologico attribuibile al Post-Traumatic Stress Disorder (PTSD) si materializzava in ansia, ipervigilanza cronica, insonnia, depressione, irritabilità, ricadute familiari, una condizione coerente con il trauma da minaccia protratta più che con un singolo evento.
Nonostante l’ampia casistica, la sindrome non ricevette riconoscimento ufficiale (sul modello DSM-5 per il PTSD), con effetti negativi su tutele, indennizzi e protocolli di presa in carico sanitaria e amministrativa.
L’isolamento sociale dei nuclei familiari in contesti ostili e la ritualità “silenziosa” di funerali e commemorazioni aggravarono il danno morale.
Il caso di Julián Carmona Fernández (1982), giovane suicida dopo un’imboscata costata la vita a quattro colleghi, raffigura la pressione cumulativa tra minaccia continua, senso di impotenza e trauma profondo.
4. Risposta statale: specializzazione, cooperazione, criticità.
Dalla fine degli anni ’70 la Guardia Civil avviò una specializzazione operativa nei territori rurali e montuosi più esposti, con la creazione di unità a indirizzo speciale, l’Unidad Especial de Intervención (UEI), l’Unidad Antiterrorista Rural (UAR) e l’evoluzione nel Grupo de Acción Rápida (GAR). Lo sviluppo mirava a fornire una struttura autonoma dotata di elevata mobilità, addestramento specifico al contrasto in ambiente ostile, dotazioni logistiche e mezzi moderni (veicoli leggeri, NVG, comunicazioni cifrate).
Sul versante urbano nel 1978 la Policía Nacional istituì il Grupo Especial de Operaciones (GEO), una forza selezionata per sequestri, attentati, dirottamenti e arresti ad alto rischio, con training pluriennale. Tale unità si integra nella rete ATLAS europea e rappresenta attualmente un punto di riferimento a livello internazionale.
Questa doppia filiera (rurale/urbana) ha accresciuto la professionalizzazione e l’efficacia tattica, sostenuta dalla crescente cooperazione giudiziaria e di polizia con la Francia.
In controluce, il capitolo GAL (la cosidetta “guerra sucia” contro rifugiati etarras in Francia) ha prodotto danni reputazionali allo Stato e contaminazioni di legalità, mettendo in chiaro quanto fosse fragile la linea che separa l’efficacia operativa dal rispetto dello Stato di diritto, e quanto quest’ultimo resti un pilastro irrinunciabile anche contro minacce estreme.
5. La svolta del 1997: Miguel Ángel Blanco e il moto collettivo di Ermua.
Nel luglio del 1997 il sequestro e l’omicidio di Miguel Ángel Blanco, consigliere del Partido Popular di Ermua, scatenarono una mobilitazione senza precedenti. Le “manos blancas” squarciarono il muro di paura e contribuirono a isolare ETA persino dentro le aree tradizionalmente più vicine alla sua causa.
Lo “spirito di Ermua” fu un movimento civile che segnò la fine dell’ambiguità sociale verso la violenza e aprì una fase di pressione operativa e giudiziaria su tutta la “galassia etarra”, fino all’annuncio della cessazione definitiva (2011) e allo scioglimento (2018).
La legittimazione sociale rappresentò uno dei punti chiave della parabola di ETA, unito alla risposta operativa e alla collaborazione francese.
Conclusioni.
Il caso ETA dimostra che la stabilità democratica non si fonda solo sull’efficacia delle risposte, ma sulla percezione di legittimità che la sostiene.
L’assassinio di Miguel Ángel Blanco, con la risposta popolare che ne seguì, rappresentò un momento di svolta nella coscienza collettiva: lo “spirito di Ermua” segnò il passaggio da una fase di silenzio e paura a una presa di posizione civica esplicita contro il terrorismo.
La fine dell’organizzazione armata non ha coinciso con la chiusura del dibattito nel contesto spagnolo.
Il caso ETA sul fronte della sicurezza pone una questione cruciale: il ruolo fondamentale che le forze dell’ordine occupano all’interno di una democrazia matura.
Guardia Civil, Policia Nacional, forze armate e altri operatori, sono state in prima linea in un conflitto asimmetrico, in cui il nemico non era solo ideologico, ma esistenziale.
Attraverso le strategie di incitamento all’odio, la scelta mirata delle vittime e il controllo capillare nei territori d’influenza, ETA trasformò il terrorismo in un’arma di coercizione psicologica prima ancora che militare.
Garantire la sicurezza alla cittadinanza non può prescindere dalla tutela della dignità, del benessere e della salute psicofisica degli operatori che questa sicurezza devono assicurarla quotidianamente.
La prevenzione del disagio psichico, la protezione contro la stigmatizzazione e l’adeguato riconoscimento giuridico e sociale delle condizioni di rischio rappresentano indici fondamentali di uno Stato sano.
In questo senso, il sostegno istituzionale alle forze dell’ordine non è solo una questione amministrativa o sindacale, ma un parametro della qualità democratica: uno Stato che sa prendersi cura di chi lo serve è uno Stato che costruisce sicurezza attraverso la legittimità, il rispetto e la fiducia.
La memoria del terrorismo, la valorizzazione delle vittime, la promozione della resilienza collettiva e l’impegno per la verità e la giustizia restano oggi i cardini fondamentali per scongiurare ogni ritorno della violenza come strumento politico e per creare generazioni consapevoli del ruolo centrico del cittadino nella lotta all’illegalità e al terrorismo.
Solo una società capace di ricordare e riconoscere può davvero dirsi libera.
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